Undici anni dopo
Di Edoardo Montolli
Quando agli inizi del 2008 uscì Il grande abbaglio – controinchiesta sulla strage di Erba, la critica più gentile che ci rivolsero fu che fossimo degli sciacalli. Il caso era già stato dato per chiuso da un anno, con miriadi di speciali televisivi, ospitate tv di avvocati di parti civili, criminologi ed esperti, perfino un libro e una fiction che vedevano Olindo Romano e Rosa Bazzi nei panni dei feroci assassini. E il processo non era ancora cominciato.
In questo circo mediatico in cui i mostri dovevano solo attendere la condanna, non c’era mai stata una sola finestra per la difesa. Mai. Ma da un paio di mesi, leggendo semplicemente gli atti dell’accusa, avevamo iniziato a scrivere su Il Giornale che le cose non erano esattamente come le avevano raccontate, anche se incredibilmente nessuno sembrava essersene accorto. Era stato detto per un anno che il testimone Mario Frigerio aveva riconosciuto subito in Olindo il suo aggressore.
Ma non era vero. Era stato detto per un anno che le confessioni erano precise, concordanti e sovrapponibili, ma non era vero. Era stato detto per un anno che le indagini erano state dettagliatissime, ma non era vero. Era stato detto per un anno che la macchia di dna sulla Seat della coppia ce l’avevano portata per forza gli imputati, ma non era vero. Era stato detto per un anno che tutte le piste alternative erano state vagliate, ma non era vero nemmeno questo. Era tutto lì, nero su bianco, nei documenti dell’accusa.
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