Anche Balzac si cimenta con il mito di don Giovanni, lo scellerato che vuole calpestare tutte le regole della convivenza umana. Nel suo racconto don Giovanni si chiama sempre Don Juan ma per Balzac è italiano, per la precisione ferrarese. Alla Corte di Ferrara c’è una Brambilla, come la Prinzessin Brambilla di E.T.A. Hoffmann. E c’è un padre a cui don Giovanni ruba l’elisir di lunga vita.
A partire da questo insolito inizio si dipana una storia in cui, a dire il vero si fa poco sesso e molta magia. Per arrivare a una conclusione, fulminante. Sebbene noi, abbagliati inquilini dell’era della televisione, fatichiamo ormai ad accorgercene perché ciò che è notevole è qui l’aspetto cromatico, paradossalmente oscurato in noi dalla troppa facilità con cui lo si riproduce su un monitor. Ma se riusciamo a immaginarsi la scena finale del lungo racconto, che è un’orgia di oro e di rosso come la scena finale del Don Giovanni di Mozart, percepiamo una brillante ironia.
Infatti l’empio don Giovanni Belvidero finisce canonizzato come santo appunto perché si è avvalso della magia nera per resuscitare. L’errore del santo abate di San Lucar è troppo comprensibile: in vita don Giovanni si era fatto passare per un maestro di devozione. Non era mica scemo: «comprendendo il meccanismo delle società umane» ci racconta Balzac, «non sfidava mai troppo i pregiudizi, perché non era potente come il carnefice; ma eludeva le leggi sociali». E poi, un santo nuovo che attiri a San Lucar le folle dei fedeli è un’occasione ghiotta. Il business dei pellegrinaggi si nutre anche di queste novità, che purtroppo non si presentano spesso né si possono comandare. È una religione molto terrestre quella del buon abate. Si presta bene all’ironia. E Balzac, in questo racconto, resta sempre il nostro grande Balzac.
Paolo Brera
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Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, economia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Brera ci ha provato.