Milano, ore 20,30
Quando ero piccola, la sveglia suonava sempre alle sei e trenta. Dovevo prepararmi, mettermi in spalla lo zaino e marciare sotto scorta fino alla scuola. Dalle suore.
Io le odiavo, le suore. O meglio, ricambiavo il loro odio. Le suore disprezzavano me e le mie compagne perché eravamo bambine.Femmine. Per loro, se l’uomo nasce con il solo peccato originale, la donna appena viene alla luce già se ne ritrova due: avere colto la mela e possedere la figa. Forse le suore si odiavano loro stesse, in quanto nate donne. Non so cosa facessero delle loro passere: a quell’epoca non pensavo ancora a certe cose e non mi è venuto in mente di chiederlo. Se lo avessi fatto, del resto, mi avrebbero presa a bacchettate e costretta a scrivere cento volte sul mio quaderno O Gesù d’amore acceso… Me lo imponevano spesso e per molto meno. Il modo migliore per condurre una persona all’ateismo.
Le cose oggi sono un po’ diverse.
La sveglia suona alle otto e trenta. E non a quelle del mattino.
Mi alzo e mi guardo allo specchio. Mi hanno detto che assomiglio a Grace Kelly. Sarà un caso, ma era l’attrice preferita di mia madre. Credo che sia per questo che mi ha chiamato Lisa, come Grace in La finestra sul cortile. Forse mia madre voleva che sua figlia diventasse una diva di Hollywood. O una principessa. Dev’essere quello che sognano tutte le madri. Io non sono diventata né l’una né l’altra e, di sicuro, non sarei mai potuta diventare una suora.
Mi faccio una doccia, mi trucco, mi vesto. Sono molto esigente, sull’abbigliamento. Spese necessarie e non detraibili, ma dopotutto io non pago le tasse. Biancheria intima, calze di nylon, tubino verde, scarpe con tacco vertiginoso. Soprabito, che cercherò di tenere aperto anche se comincia a fare freddo. Sarebbe più comodo lavorare a casa, ma il mio monolocale da sedici metri quadri in una casa di ringhiera in zona Lambrate non è l’ideale. Non è di rappresentanza. Per ora, in comune con Grace Kelly, ho solo la finestra sul cortile.