IL COMITATO
1.
“Tutto in ordine.”
Era il segnale che sanciva l’inizio della riunione.
La cantina del vecchio fornaio, un tempo adibita a luogo dove riporre e dimenticare biciclette arrugginite e scarpe con le suole consumate, ora fungeva da luogo d’incontro per i membri del Comitato.
Ad un tavolino, illuminato solo dalla fioca luce di una lampadina impiccata ad un filo penzolante, sedevano cinque uomini. Il sesto, la Sentinella, stava in piedi su una sedia con il collo allungato per spiare la strada e controllare che nessun curioso si avvicinasse troppo.
Curiosi in divisa, s’intende.
“Novità dalla vecchia fabbrica del Quartiere Tre Isole?” domandò quello che sembrava essere il capo.
Il tizio seduto alla sua destra, dopo essersi versato un bicchiere di rosso, si tuffò su una pila di fogli scritti fitti.
“Niente da fare” borbottò asciugandosi i baffi bagnati “I sindacati hanno organizzato uno sciopero di tre giorni ed un picchetto di protesta all’ingresso. Da quel che ho saputo pare che una finestra dal quinto piano, quello dirigenziale ovviamente, si sia aperta poco dopo pranzo e un paio di colpi di fucile siano stati sparati in direzione degli scioperanti.”
“Vittime?”
Nuovo controllo e conseguente espressione rammaricata.
“Una donna, Annalisa Panè. Due figli di cui il secondo di appena quattro mesi.”
Un altro membro del gruppo, quello vestito da straccione, batté un pugno poderoso sul tavolo facendolo scricchiolare.
“Il responsabile?” domandò.
L’Oste, così chiamavano il fornitore di alcol di contrabbando, tirò fuori da una cartelletta verde che teneva in grembo una foto. La fece scivolare in mezzo al tavolo e ci puntò il dito sopra.
L’immagine rappresentava un uomo sulla sessantina, qualche dente d’oro in un sorriso porco e una camicia azzurra su misura.
“Ottavio Marelli” lo presentò.
“L’indirizzo lo abbiamo?” domandò il capo versandosi un bicchiere.
La sentinella si voltò verso i cinque.
“Luce”
Un attimo e la cantina piombò nell’oscurità. Tutti trattennero il respiro.
Dei piedi si fermarono a pochi centimetri dalla finestrella che dava sulla strada. Indossavano stivali militari, probabilmente della milizia d’assalto.
Bastarono pochi secondi perché lo sconosciuto si levasse di torno.
“Libero” fece la sentinella.
La luce si riaccese e l’Oste riprese a parlare.
“Abita nella zona degli artisti. Uno dei nostri l’ha seguito fin sotto casa e l’ha visto entrare all’interno di Villa Agata. Una donna lo aspettava all’interno.”
“Magari era solo l’amante” suggerì il Pistolero, accarezzando la canna di una vecchia Colt d’anteguerra come da sua abitudine.
“Cristo” sbottò il tizio vestito da straccione “Vuoi mettere via quella dannata pistola?”
La bocca di fuoco puntò verso la sua testa.
“Bang” fece il Pistolero sghignazzando.
“Era la moglie” proseguì l’Oste disinteressandosi del resto “L’amante non abita in città. E’ una polacca in cerca di grana. Lui le ha affittato un appartamento ammobiliato e l’ha…”
“Ok” lo interruppe il Capo con un gesto “Penso che il nostro amico abbia bisogno di una lezione esemplare.”
In quel genere di riunioni la terminologia era ben definita e con “lezione esemplare” s’intendeva una sola cosa.
“L’ultima parola dovrebbe essere del Lupo Grigio” sentenziò lo Svelto, finora rimasto nell’ombra.
Il Capo approvò con un cenno della testa.
“In effetti DOVREBBE essere così, ma da settimane sembra essere sparito” disse.
“Sparito?” ripeté la Sentinella voltando appena la testa verso gli altri.
“Gira voce che l’abbiano steso appena fuori dal Quartiere malfamato” disse il Pistolero.
“Cazzate” commentò l’Oste “Nessuno potrebbe fargli anche solo un graffio, laggiù.”
“Ad ogni modo non abbiamo tempo per aspettare sue notizie” concluse il Capo prendendo di nuovo la parola “Chi si occupa della faccenda?”
La domanda appariva scontata quanto la risposta.
Per quel genere di questioni l’unico uomo plausibile stava seduto a quello stesso tavolo, accarezzando la canna lucida della sua amata pistola.
2.
La vettura tedesca a quattro ruote motrici con interni in pelle beige e con un orribile pupazzetto rappresentante Ghandi sul cruscotto intento a ballare felicemente ad ogni curva, voltò nella via laterale diretta verso la periferia nord della città.
Alle sue spalle un’utilitaria scura teneva la scia a debita distanza. Del fumo di sigaretta s’insinuava fuori dal finestrino socchiuso, nonostante il freddo glaciale di quella sera.
Il telefono della macchina di Marelli squillò. Una sinfonia di Mozart riempì l’abitacolo.
“Eccoci” esordì il dirigente entusiasta.
Il vivavoce sputò un delizioso cinguettio da femmina in calore.
“Amoruccio, mi manchi.”
“Davvero ti manco? E quanto?”
“Quanto basta a farmi impazzire di desiderio.”
“Cazzo! Ti manco un sacco!”
“Mmmm…”
“Tra dieci minuti sono da te, bambina.”
“Così tanto?”
“Comincia a scaldarti, tesoro. Indossa qualcosa di rosso.”
3.
Il Pistolero lanciò il mozzicone della sua sigaretta Made in Croazia fuori dal finestrino e si decise ad entrare in azione. Il pedale dell’acceleratore terminò la sua corsa e l’utilitaria da due soldi si esibì in un ruggito inaspettato. Schizzò in avanti passando dai sessanta all’ora canonici ai centotrenta. C’era qualcosa di elaborato sotto quel cofano, poco ma sicuro.
Le due vetture si affiancarono.
Marelli rideva di gusto, il Pistolero fissava il parabrezza senza alcuna espressione.
Era una dannata statua di cera con le intenzioni ben chiare. Muoveva appena le braccia per dare una direzione alla macchina, nient’altro.
Ad un tratto sterzò sulla destra con decisione. Uno schianto.
Ora Marelli non rideva più.